All’interno delle soluzioni stragiudiziali delle crisi d’impresa, un’introduzione relativamente recente è stata quella degli accordi di ristrutturazione dei debiti, disciplinati in Italia con l’art. 182 bis della Legge Fallimentare. Un’alternativa risolutiva delle crisi di impresa, quella degli accordi di ristrutturazione dei debiti, che cerca di rivalutare l’autonomia privata in materia, ispirandosi altresì a diversi ordinamenti internazionali, che prevedevano (e prevedono), al loro interno, dei modelli giuridici non dissimili dal nostrano accordo disciplinato dall’art. 182 bis.
Proprio tale articolo introduce gli accordi di ristrutturazione sostenendo che essi possano essere richiesti dall’imprenditore in stato di crisi, mediante il deposito della documentazione opportuna (elencata dall’art. 161 della stessa Legge Fallimentare), affinchè il Tribunale possa procedere all’omologa dell’accordo, e a patto che sia stipulato con tanti creditori quanti rappresentanti almeno il 60% dei crediti.
All’accordo andrà obbligatoriamente abbinata una relazione redatta da un professionista (in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lettera d) della Legge Fallimentare) che attesti l’idoneità dell’intesa ad “assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei”, cioè di quelli che non sono stati interessati dall’accordo da omologare.
Dalla data della pubblicazione dell’omologa dell’accordo, e per i sessanta giorni successivi, i creditori per titolo e causa anteriore a tale data non potranno iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore, il quale potrà pertanto godere di un ombrello protettivo costituito dall’omologazione dell’intesa da parte del giudice.